Torino, Teatro Regio: “La Bohème”

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera 2014-2015, “The best of Italian opera”
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger.
Musica di Giacomo Puccini
Mimì BARBARA FRITTOLI
Rodolfo STEFANO SECCO
Musetta MARIA TERESA LEVA
Marcello MARKUS WERBA
Schaunard SIMONE DEL SAVIO
Colline RICCARDO ZANELLATO
Benoît e Alcindoro PAOLO MARIA ORECCHIA
Parpignol GUALBERTO SILVESTRI
Sergente dei doganieri MAURO BARRA
Un doganiere MARCO TOGNOZZI
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi”
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia Vittorio Borrelli
Bozzetti e figurini Eugenio Guglielminetti
Scene a cura di Saverio Santoliquido e Claudia Boasso
Costumi a cura di Laura Viglione
Luci Andrea Anfossi
Allestimento Teatro Regio
Torino, 9 luglio 2015    
Da questo «meglio dell’opera italiana» non poteva mancare La bohème, titolo torinese per eccellenza
, dato che al Teatro Regio ebbe la sua prima assoluta l’1 febbraio 1896. La compresenza di quattro produzioni nel retropalco del teatro, resa necessaria per l’alternanza dei titoli, ha costretto a scegliere non l’allestimento che debuttò nel 1996 per il centenario dell’opera, ma quello più snello di Vittorio Borrelli, pensato per essere portato in circuito nei teatri piemontesi e in location estive all’aperto (anche se i famigerati tagli alla cultura costrinsero presto a rinunciare al progetto). La maggiore semplicità non priva di fascino la scena, basata su bozzetti e figurini di Eugenio Guglielminetti – che scenografi e costumisti hanno fatto vivere con soluzioni pratiche e al contempo evocative –, sulla quale si realizza una regia fresca, tradizionale nei suoi contenuti e perspicace nei singoli passaggi (si pensi alla posizione di sfida e ai reciproci sguardi coi quali Rodolfo e Mimì vengono fotografati al termine della reciproca dichiarazione, nel I quadro; o al finale II, dove, in assenza di spazi per realizzare la ritirata sulla scena, la si immagina avvenire in platea), capace di accompagnare lo spettatore, tanto il più ingenuo quanto il più smaliziato, nella lettura della vicenda pucciniana.
In presenza di un allestimento curato e intelligibile, e dell’immortale musica di Puccini, il successo della Bohème è assicurato anche al di là dei meriti musicali dell’esecuzione, che in questo caso è stata senza dubbio gradevole, ma non tale da riservarsi uno spazio duraturo nella memoria di chi vi ha assistito. La bacchetta è stata affidata a uno deigiovani talenti della direzione italiana, Andrea Battistoni, il quale è forse assurto a una fama troppo precoce, che l’ha lanciato nelle maggiori buche d’orchestra quando avrebbe potuto dedicare ancora qualche tempo al perfezionamento: la sua mano è sicura, ma le dinamiche risultano spesso sbilanciate sul forte, sicché il tessuto orchestrale viene talvolta a penalizzare la vocalità; inoltre, pare che latiti, qua e là, quell’amalgama di elementi e caratteri diversi che rende vivida in quest’opera la rappresentazione di tranche de vie prese dal vero: l’episodio di Parpignol, ad esempio, sembra una parentesi che interrompe, più che una porzione che sostanzia, la vigilia di Natale al Quartiere Latino. Elemento unificante della  lettura dei protagonisti, alla prima rappresentazione, è stata la propensione a sottolineare l’elemento della quotidianità di vita che attraversa la vicenda, più che gli slanci lirici della passione, per i quali non sempre gli strumenti sono parsi in forma smagliante. Il fraseggio di Barbara Frittoli (Mimì) ha saputo tratteggiare periodi intensi e struggenti negli ultimi due quadri, dalla disperazione del suo duetto con Marcello all’attenzione nostalgica alle piccole cose di «Donde lieta» alla rassegnazione del finale ultimo. Parimenti, anche il tenore Stefano Secco (Rodolfo) ha dato il proprio meglio nella seconda metà dell’opera, con accento accurato e voce timbrata; laddove nella «Gelida manina» lo squillo è stato un po’ latitante nei momenti topici più attesi.
Il giovane soprano Maria Teresa Leva possiede una voce calda e voluminosa, con la quale ha disegnato una Musetta che trasuda voluttà. Markus Werba interpreta Marcello, ruolo che, compresso com’è tra il rilievo che Puccini dà ai protagonisti e l’esuberante personalità di Musetta, rischia di non valorizzare le doti che di questo baritono si sono ammirate in altre figure; la sua vocazione al teatro buffo si mette comunque in particolare evidenza in quei passaggi di carattere del II quadro e del finale III ai quali ha conferito un tocco superiore al comune. Gli altri due bohémien, e cioè il baritono Simone Del Savio (Schaunard) e il basso Riccardo Zanellato (Colline), hanno assolto con trasparenza alla loro funzione di contorno; resta nella memoria l’accorta scelta del basso di cantare «Vecchia zimarra» giocando sulle sfumature di piano. Completano il cast il basso Paolo Maria Orecchia, appropriato nei ruoli caricaturali di Benoît e Alcindoro, e i professionali artisti del coro Gualberto Silvestri (Parpignol), Mauro Barra (Sergente dei doganieri) e Marco Tognozzi (Doganiere).