Al Teatro Verdi di Padova “Giselle di Serussi Sahar – Haring

Padova, Teatro Verdi, Evoluzioni – Rassegna di danza 2016/17
“GISELLE”
Coreografie Itamar Serussi Sahar e Chris Haring
Concept development Peggy Olislaergers
Musiche originali Adolphe Adam
Rielaborazioni musicali Richard Van Kruysdijk, Andreas Berger
Interpreti Balletto di Roma
Padova, 27 gennaio 2017

Peggy Olislaergers, già direttrice generale del Dutch Dance Festival, deve aver avuto l’idea di esautorare Giselle da deus ex machina della sua vicenda e lo si capisce non solo perché la sua triste storia viene affidata a due autori, ma anche perché di lei non c’è traccia tra la compagine dei danzatori, anzi, il fatto di essere tutti in calzamaglia uguali sposta il significato della sua presenza al concettodi cui essa è portatrice, per cui il personaggio principale si dematerializza per assumere il corpo dei figuranti uniti nella danza.
Dopotutto, il balletto Giselle costituisce il simbolo del balletto classico, tanto romantico quanto saldamente ancorato a certi passi, movimenti e atteggiamenti (plateali, palesi e ostentati poi auto oppressi), come una rigorosa opera lirica, che sono qui, grazie alla compagnia Balletto di Roma, sinonimo di sentita devozione, diciamo amore, non per qualcuno ma per la danza in sé, quella cosa che può accomunareopportunisticamente, quanto rendere libero.
Ecco che allora entri a capire la Giselle di Serussi Sahar e Haring, a cui è spettato firmare rispettivamente il I e il II atto: due belle personalità e testimoni di estremo riguardo, lo si è capito, della danza contemporanea, per dire di quell’arte che è capace di dare corpo al sentimento. Quindi, evitando il pericolo di andar a cercar richiami diretti alla trama (non c’è personificazione della bella contadina, nédel principe Albrecht, mentre forse si può percepire la loro evocazione), che vuole che alla sventuratale si spezzi subito il cuore con l’inganno, si osserva che il coreografo israelianoha affidatoalle tonalità pastello delle luci il supporto drammaturgico emotivo e allusivo dei piani sequenza, mentre alla colonna sonora, tra l’ambient new age e il soundtrack di commento ai film hollywoodiani sentinental popolari, addirittura il compito di distogliere lo spettatore dal voler ripensare alla Giselle ballata in punta di piedi: le musiche originali di Adam, le elaborazioni di Van Kruysdijk e Berger e quel pugno battuto sul petto, a intervalli regolari, tra la spalla e il torace come un mea culpa.
>Godibili gli slanci e i piegamenti di schiena, così estremi e di forte impatto come le cadute a terra a corpo morto e quella spogliazione dalla calzamaglia color carne che significa suggello del trapasso dello spirito dal corpo all’anima che lascia aperto il varco ai fantasmi del secondo atto.
Una Giselle per niente afasica, anzi, carica di aspettative e di allusioni metafisiche richiamate, stavolta da Haring, dall’oltretomba, che è il luogo di quel sogno eterno in cui si rivivono atti misti tra il vissuto e l’aver voluto vivere oltre il punto di non ritorno. Il coreografo austriaco, infatti, fa dello storytelling (“Questa non è una favola”) inserendo dialoghi e monologhi fuoricampo che significano nulla, ma donano quella verve estetica che hanno le strisce di parole che escono dalle bocche dei santi nelle raffigurazioni parietali medievali. Straordinariamente belli i cortei dei ballerini che appaiono da una parte del palco e svaniscono dall’altra con eleganti ondulazioni del corpo come dei cavallucci marini. Tutto si fa danza (fino alla morte) come espiazione dei nostri peccati per applicazione ideale di quella legge pre trapasso che perpetua la pena a chi è stato cagione di morte altrui. Così anche per il II atto le luci di scena, al contrario delle musiche così accentuate e a stacco netto, hanno ben saputo armonizzare le coreografie, vale a dire ambientare i gesti di assolo e di gruppo, fino a esprimere uno stato d’animo confacente con le figure attrici del racconto. Quindi nessun croisé, allongées o pas de bourrée, ovvero proposti destrutturati nei movimenti che li compongono, come un piatto gastronomico arci conosciuto rivisitato nella composizione dei suoi elementi; qui servito a un’audience probabilmente avvezza ai balletti classici che ha invece potuto riconoscere il temps levé a cura dei singoli, perché già più spendibile nella danza contemporanea.
E il tutto finisce con un tesissimo arabesque, trattenuto bello alto: con la gamba arretrata in IV posizione abbondante: un balzo in avanti e poi fermi nel punto più alto del movimento,proposto dalle fila dei ballerini per tutto lo stage come un still frame. Geniale il far scorrere l’ensemble, ognuno con la sua direttrice parallela a quella di un altro, perpendicolare ai nostri sguardi, così da accentuare l’effetto profondità: un richiamoalle quinte sceniche usate nell’Ottocento, l’una dietro l’altra, sfilate via dal palco al seguito dei ballerini.
Lunghi e sentiti applausi per il Balletto di Roma sebbene rimanga il sospetto che una percentuale non indifferente degli astanti, per stima d’età, si aspettasse di vedere la Giselle classica di Gautier e Coralli.

 

di Simone Grassetto