Il “Barbiere di Siviglia” al Teatro Malibran di Venezia

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Lirica del Teatro La Fenice 2012/2013
IL  BARBIERE  DI  SIVIGLIA”
Melodramma buffo in due atti su libretto di Cesare Sterbini dalla commedia “Le barber de Séville” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Musica di Gioachino Rossini
Conte d’Almaviva
MAXIM MIRONOV
Don Bartolo  OMAR MONTANARI
Rosina CHIARA AMARU’
Figaro VINCENZO TAORMINA
Basilio LUCA DALL’AMICO
Berta GIOVANNA  DONADINI
Fiorello WILLIAM CORRO’
Un ufficiale NICOLA NALESSO
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Stefano Rabaglia
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia Bepi Morassi
Scene e costumi Lauro Crisman
Light designer: Vilmo Furian
Allestimento della Fondazione Teatro La Fenice.
Venezia, 25 gennaio 2013

Se c’è un opera con cui  Bepi Morassi intrattiene un rapporto assolutamente particolare e continuativo, questa è certamente il Barbiere rossiniano. Infatti, come si legge nelle note che corredano il programma di sala, è dal lontano 2002 che questo capolavoro di Rossini costituisce per il regista un appuntamento annuale con quella che considera “la sintesi assoluta della teatralità”, un’occasione per mettere in pratica la propria concezione scenica che vede negli interpreti (di volta in volta almeno in parte diversi) il proprio punto di forza e, perciò stesso, è un’esperienza sempre nuova e intrigante. Un allestimento, quello di cui ci stiamo occupando, che – sottolinea ancora Morassi – è stato criticato per il suo aspetto visivo esageratamente tradizionale, ma che invece  si basa su un presupposto non così scontato, almeno dieci anni fa, nel milieu del teatro musicale: la preponderanza, rispetto all’ambientazione, del virtuosismo interpretativo, identificato con il musical americano, in cui il regista vede la continuazione della gloriosa tradizione della Commedia dell’Arte.
A questo proposito, le scene di Lauro Crisman, al pari dei costumi settecenteschi da lui stesso ideati, sono gradevoli, ma non nostrano nulla che si segnali per originalità: in apertura una piazzetta sul cui lato destro si affaccia il balcone di Rosina, chiuso da una grata vagamente andalusa, e sullo sfondo scuro la silhouette rossastra di Siviglia con la Giralda; successivamente, l’interno della casa di Bartolo, in particolare la stanza che dà sulla piazzetta, con le pareti tappezzate di rosso a righe gialle su cui campeggiano i ritratti di famiglia. L’originalità, dunque, andrebbe ricercata nella presenza scenica e nella gestualità degli interpreti, ma anche qui nulla di particolarmente nuovo sotto il sole, oltre tutto certe scelte registiche non erano sempre funzionali alla musica o alla situazione sulla scena: Figaro sale in palcoscenico dopo aver percorso la platea intonando le prime battute della sua celeberrima cavatina, ma i troppi movimenti non assecondano il canto e lo fanno arrivare alla fine di questo brano, già di per sé molto impegnativo, visibilmente provato. Anche la trovata di far cantare a Figaro e al Conte il duetto “All’idea di quel metallo” prevedendo per entrambi movenze più indicate per qualche commedia musicale di Broadway con tanto di bastone alla Fred Astaire – cosa che il barbiere ripete anche nel corso del duetto del primo atto con Rosina – non ci è sembrata di impatto visivo particolarmente felice. In genere si è cercato – com’è naturale in un’opera buffa –  di divertire il pubblico, ma talora si è esagerato in episodi macchiettistici finalizzati solo alla facile risata. Sempre efficace, peraltro, si è rivelata nel corso dello spettacolo qualche occhiata ammiccante lanciata dal palcoscenico con effetto di straniamento sul pubblico, ma anche questo è un déjà vu di vecchia data.
Sul piano musicale, la bacchetta di Stefano Rabaglia ha saputo guidare l’orchestra e i cantanti con rigore e autorevolezza anche nelle scene d’insieme, ma non ha sempre ottenuto quella levità e quel nitore di suono che la frizzante partitura spesso richiede a partire dalla sinfonia. Inoltre lo stacco dei tempi e la dinamica non avevano, in generale, quell’articolazione che permettesse di rendere appieno la verve di alcuni momenti concitati o il delicato lirismo di altre pagine. Anche i recitativi non avevano quella vivacità, quella spigliatezza “mozartiana” che l’opera a volte richiede. Un’esecuzione, in sintesi, certamente corretta dal punto di vista tecnico e comunque godibile, ma ristretta entro una gamma espressiva, a nostro avviso, un po’ troppo contenuta.
Di encomiabile professionalità, per lo meno, tutti i componenti del cast. Maxim Mironov (Lindoro-Il conte d’Almaviva) ha fatto sentire una bella voce di tenore di grazia dal timbro non banale, di pasta omogenea, che gli ha permesso di affrontare con facilità acuti e sovracuti, oltre che i passaggi d’agilità come in “Ecco ridente in cielo”, che ha concluso degnamente con un sonoro do. Vocalmente esteso il Figaro di Vincenzo Taormina, baritono dal timbro piuttosto chiaro, che comunque, anche grazie ad un’efficace gestualità, è stato in grado di delineare un “factotum della città” pieno di vulcanica energia come dev’essere. Vitalissima la Rosina di Chiara Amarù, mezzosoprano dall’emissione abbastanza corposa, che sa farsi sottile quando serve, a proprio agio di fronte alle più ardue colorature che caratterizzano il suo ruolo: impeccabile in “Una voce poco fa”, dove, in particolare, ha scandito con precisione e verve la seconda parte dell’aria (“Ma se mi toccano”). Rispetto al recente Occasione fa il ladro, Omar Montanari è parso meno a suo agio nell’affrontare Bartolo. La vocè è parsa con sonorità piuttosto metalliche e   in “ A un dottor de la mia sorte” non aveva il peso adeguato ad esprimere la tronfia quanto ridicola superbia dell’anziano pretendente di fronte alla sua tutt’altro che ingenua pupilla; il sillabato veloce (“Signorina, un’altra volta”) era alquanto fievole, ma si è fatto maggiormente valere nel prosieguo dell’opera. Complessivamente buona la prestazione, dal punto di vista vocale e scenico, del basso-baritono Luca dall’Amico (Basilio), che ha intonato“La calunnia” (tra l’altro, giocando a carte insieme a Bartolo) con sufficiente potenza di emissione, in particolare nel famosissimo crescendo. Irresistibile Berta, per la voce e il gesto di Giovanna Donadini, almeno stando agli applausi che si è meritata dopo l’aria “Il vecchiotto cerca moglie”, nonostante una voce un po’ troppo aperta e alcune movenze, a dir poco, da avanspettacolo. Valide le prestazioni di William Corrò e Nicola Nalesso, rispettivamente Fiorello e Un ufficiale, nonché quella del coro. Successo vivissimo con diverse chiamate dei singoli e di tutti gli interpreti e responsabili dello spettacolo.  Foto Michele Crosera