“Il Trovatore” al Teatro San Carlo di Napoli

Teatro di San Carlo – Stagione Lirica e di Balletto 2014/2015
“IL TROVATORE”
Dramma in quattro parti di Salvatore Cammarano
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna 
JUAN JESUS RODRIGUEZ
Leonora JULIANNA DI GIACOMO
Azucena EKATERINA SEMENCHUK
Manrico MARCO BERTI
Ferrando CARLO CIGNI
Ines ELENA BORIN
Ruiz ENRICO COSSUTTA
Un vecchio zingaro GIACOMO MERCALDO
Un messo NINO MENNELLA
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Nicola Luisotti
Maestro del Coro Marco Faelli
Regia Michał Znaniecki
Con la partecipazione esclusiva attraverso un’opera unica dell’artista Michal Rovner 
Scene Luigi Scoglio
Costumi Giusi Giustino
Luci Bogumil Palewicz
Coreografie Sandhja Nagaraja
Nuovo allestimento del Teatro di San Carlo
Napoli, 19 dicembre
«Non è possibile non innamorarsi del Teatro San Carlo», afferma in un’intervista Michal Rovner, artista israeliana che ha contribuito con una sua opera a questo nuovo allestimento de Il Trovatore che ha inaugurato la stagione dello Stabile partenopeo. Come non dare atto alle parole dell’artista soprattutto quando si respira profumo di bellezza e le aspettative di un nuova messa in scena non sono disattese, anzi per molti aspetti superate. La convergenza delle componenti performative è stata in effetti efficace e diretta.
Un’interazione molto forte è emersa fra l’orchestra diretta da Nicola Luisotti, che a breve lascerà il suo incarico di direttore musicale presso il Teatro di San Carlo, e il coro diretto da Marco Faelli, che, invece, ha di recente accolto la guida  dei coristi che hanno davvero dato lustro di sé. Sia la componente femminile che quella maschile sono state accomunate da un esecuzione omogenea con attacchi sempre precisi, ed una resa vocale attenta dei piani e dei sincopati. Il coro delle monache regala un’atmosfera di sonorità celestiale. Stesso apprezzamento per la condotta orchestrale, animata dalla vivace  eleganza della direzione che, rispettosa e abile, splende soprattutto in ragione dell’intesa con i cantanti e nella realizzazione dei chiaroscuri dinamici e delle sfumature timbriche. Per Luisotti, dunque, un saluto in grande stile. La regia firmata da Michał Znaniecki è essenziale e narrativa. È una concezione della regia storica, che rivela un gentile asservimento del regista alla voluntas autoris e alla testualità musicale (nelle sue componenti verbale e musicale) che nel caso del Trovatore possiede quella forza straripante dei capolavori. “Narrative” anche le luci firmate da Bogumil Palewicz, efficaci soprattutto in convergenza effettistica su alcuni costumi di Giusi Giustino (in special modo quelli delle danzatrici in “Vedi! le fosche notturne spoglie”). Le coreografie firmate da Sandhja Nagaraja conferiscono alla messinscena quel movimento negato agli interpreti quasi simulatorio del fuoco, elemento centrale dell’opera come emerge tra l’altro anche dalle immagini e video dell’artista Michal Rovner, la quale fornisce una chiave di lettura del dramma sottile e incisiva, profonda ed ineffabile. Qui, in effetti, la parola cede il posto alla musica che diventa immagine ed il pensiero, ad esso sotteso, si fa, invece, emozione.
Le video proiezioni raffigurano un’emigrazione infinita di  anime senza tempo schiacciate dal peso del destino. Traiettorie metaforiche trasformano sagome umane in croci, ed alberi in roghi. I personaggi percorrono una scena dominata spesso dal buio, sconfitto dalla luce della fiamma. Monolitici gli elementi scenografici (esterno e interno del palazzo, uno scudo, il carcere)  si alternano al centro  della scena firmata da Luigi Scoglio. Un’essenzialità certamente funzionale all’incisività delle proiezioni. Il Conte della Luna è interpretato da Juan Jesus Rodriguez. Probabilmente, il pubblico oltre alle indubbie doti canore del baritono spagnolo, riesce a cogliere anche  l’intenzione drammaturgica del regista che – come sottolinea in un intervista a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro – considera il conte il personaggio, più positivo e coerente, al contrario di come viene generalmente avvertito; una coerenza e una solidità di intenti (opposta alla mobilità di Manrico) resa anche dalla solida gestualità affidata all’interprete. Il non- gesto, dunque, oltre a rievocare la fermezza emotiva del Conte, consente al cantante un’esecuzione impeccabile  delle dinamiche con una pronuncia piena, un suono caldo e avvolgente in tutta la tessitura.Il baritono regala soprattutto in “Ardita qual furente amor” un momento estatico.Il paesaggio proiettato alle sue spalle, sublimando la catarsi scenica, accresce la solitudine dell’innamoramento non corrisposto.
Per lui grandi applausi, migliore in scena al pari di Ekaterina Semenchuk, un’Azucena molto convincente.
In “Stride la vampa” sfoggia dei piani delicatissimi e corposi. Il registro grave è compatto e sonoro. Consonanza perfetta fra interprete ed orchestra. Dal punto di vista scenico si rintraccia, oltre ad una grande padronanza scenica,  una reciproca enfatizzazione di movimenti e proiezioni, soprattutto in “Condotta ell’era in ceppi”. Il Trovatore-Manrico è invece interpretato dal «sempre più conteso» Marco Berti il quale dà prova di un’ormai vigorosa esperienza del ruolo.L’esecuzione di “Di quella pira” è affrontata con coerenza e precisione. Il tenore è dotato indubbiamente di una timbrica all’italiana di pavarottiana memoria e di grande potenza e volume nella zona centrale e acuta Si coglie, talvolta, qualche leggera percezione di disomogeneità, forse dovuta ad un eccesso di spinta.Leonora, per un’improvvisa indisposizione di Lianna Haroutounian, è interpretata dal soprano californiano Julianna Di Giacomo. Visibilmente emozionata in “Tacea la notte palcida”, esegue però una cabaletta “Di tale amor che dirsi” precisa, vivace e temprata. Il suo è un volume importante accompagnato da uno spessore timbrico ben gestito soprattutto nella resa della agilità e dei picchiettati.Nel II Atto, ormai rotto il ghiaccio iniziale, appare più a suo agio sulla scena e nell’interazione con cantanti e orchestra.Il basso Carlo Cigni, nel ruolo di Ferrando esegue “Abietta zingara” coerentemente, mentre  la Ines di Elena Borin risulta un po’ sbiadita scenicamente e nel duetto con la Di Giacomo la sua voce non oltrepassa il golfo mistico.Energico il Ruiz di Enrico Cossutta, validi anche Giacomo Mercaldo  e Nino Mennella rispettivamente un vecchio zingaro e un messo. Insomma, “non è possibile non innamorarsi del Teatro di San Carlo” quando propone un allestimento che, rigoroso ed emozionante in ogni sua componente, dona rispetto e lustro all’ “eco eterno” di Verdi e Cammarano. Foto di Luciano Romano