La Camerata Royal Concertgebouw alla IUC

Istituzione Universitaria dei Concerti, Stagione 2013/2014, Aula Magna de “La Sapienza” Università di Roma
Camerata Royal Concertgebouw
Direttore Giorgio Mezzanotte
Richard Strauss: Poema Sinfonico Till Eulenspiegels lustige Streiche op. 28 (trascrizione per nonetto di Brett Dean)
Wolfgang Amadeus Mozart: Serenata n. 11 in mi bemolle maggiore KV375 per strumenti a fiato
Antonin Dvořák: Quintetto per archi n. 2 in sol maggiore op. 77
Richard Wagner: Siegfried Idyll (versione originale per 13 strumenti)
Roma, 29 marzo 2014

Dalla celebre orchestra del Royal Concertgebouw si è recentemente (2009) creata una Camerata formata dai musicisti incaricati delle prime parti: si tratta di un folto numero di strumenti – per il concerto all’Istituzione Universitaria dei Concerti sono venuti in tredici −, potenzialmente in gradi di affrontare un vastissimo repertorio. L’ensemble, nel corso del concerto, ha dimostrato di saper suonare perfettamente: i musicisti sono, ovviamente, di primissimo livello e molto affiatati. Unico tallone d’Achille è stata la scelta di un certo tipo di repertorio, come Strauss e – ma qui il giudizio, ammetto, è alquanto soggettivo – Wagner: il problema non è stato, strictu sensu, la resa tecnica in sé, quanto piuttosto la scelta di un poema sinfonico di Strauss adattato per nonetto e della prima versione del famosissimo Siegfried Idyll. La resa sonora di queste due partiture, infatti, nell’adattamento per un numero così esiguo di strumenti, inficia la ricchezza dei rispettivi brani. Chiunque abbia mai avuto l’occasione di ascoltare uno dei tanti poemi sinfonici di Richard Strauss, si potrà rendere conto che siamo di fronte a gigantesche tele sonore impressioniste: l’iridescenza timbrica che veste il complesso iter armonico di una partitura come l’op. 28, il Till Eulegenspiegels («un lucido gioco di abilità compositiva, dove la profondità torbida del tardo romanticismo lascia spazio ad una cristallina comicità», come ha ben detto Antonio Rostagno, nel programma di sala), non può rendersi adeguatamente in un nonetto. I musicisti in sé – sia chiaro − suonano assai bene, suggerendo i guizzi e i lazzi musicali della partitura di Strauss, un sofisticato lusus non scevro di qualche maligno sorrisetto diabolico. Lo stesso dicasi per Wagner, benché la versione scelta dall’ensemble abbia il placito della filologia – si tratta della prima versione, per tredici strumenti, che Wagner donò come regalo di compleanno alla seconda moglie, la figlia di Liszt, Cosima. Tale versione originale ha il pregio della rarità (e, difatti, in qualità di pezzo forte, viene posto in chiusura): ma una pagina così talmente celebre, interpretata dalle più grandi bacchette della storia, perde lievemente lo smalto epicamente impresso nella mente di ogni ascoltatore che ne abbia goduta una qualsivoglia versione orchestrale. Inoltre, la direzione di Giorgio Mezzanotte è certamente buona, pulita, ma non trascinante né particolarmente emotiva.
Tutt’altro effetto sortisce il repertorio prettamente cameristico: Mozart e Dvořák. La Sonata n. 11 KV375, del 1781, fu scritta da Mozart come biglietto da visita per Vienna; fu pensata per un sestetto di fiati: tre coppie di clarinetti, corni e fagotti. L’esecuzione è deliziosa, autenticamente mozartiana. Dopo aver preso effettivamente l’abbrivio con l’Allegro maestoso (I), i musici centrano due minuetti (II e IV), il primo dai toni lievemente malinconici, il secondo più smaliziato, una vera perla, e al loro interno, incastonato, un edenico, placido Adagio (III), il nucleo compositivo della sonata. L’Allegro conclusivo suggella una più che convincente performance. Ma la miglior esecuzione della serata è senz’ombra di dubbio il Quintetto op. 77 di Dvořák: apre il tutto l’Allegro con fuoco (I), estremamente vivace, la cui elegante elaborazione lo rende molto articolato; segue l’energia coreutica dello Scherzo (II); poi il cantabile, delicato e tenero Poco Andante (III), dove il primo violino si lascia ampiamente apprezzare per un breve passaggio in assolo sopra il vapore degli altri strumenti; infine, la texture singolarissima, assai bella, dell’ultimo movimento, Allegro assai. Non v’è mai un momento di sosta per il flusso emotivo degli auditori, che rimangono incollati alla poltrona, gustandosi le grandi arcate di questo lunghissimo quintetto per archi.