La “Carmen” al Carlo Felice di Genova

Genova, Teatro Carlo Felice – Stagione lirica 2013/2014
CARMEN
Opèra-comique in quattro atti di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, dalla novella omonima di Prosper Mérimée.
Musica di Georges Bizet
Carmen GIUSEPPINA PIUNTI
Don José FABIO ARMILIATO
Escamillo ALEXANDER VINOGRADOV
Micaela SILVIA DALLA BENETTA
Zuniga JOHN PAUL HUCKLE
Morales RICARDO CRAMPTON
Il Dancario ROBERTO MAIETTA
Il remendado MANUEL PIERATTELLI
Frasquita DARIA KOVALENKO
Mercedes MARINA OGII
Orchestra del Teatro Carlo Felice
Coro e coro di voci bianche del Teatro Carlo Felice
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del Coro Pablo Assante
Voci bianche dirette da Gino Tanasini
Regia, scene e luci Davide Livermore
Assistente alla regia Davide Battistelli
Scenografo assistente Enrico Musenich
Assistente alle scene Nathalie Deana
Costumi Gianluca Falaschi
Assistente ai costumi Gian Maria Sposito
Movimenti mimici Giovanni Di Cicco
Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice.
Genova, 18 maggio 2014 

La Carmen della discordia, che tanti tumulti ha provocato in occasione dei recenti fatti di cronaca (sui quali preferiamo non esprimerci), ha finalmente trovato la via che porta al palcoscenico. Il nuovo allestimento, prodotto “in casa”, porta la firma di Davide Livermore, di ritorno a Genova dopo il trionfale Otello del dicembre passato; tuttavia, se in quell’occasione il regista riuscì a portare in scena una personale rivisitazione del capolavoro verdiano pur senza sconvolgerne le prescrizioni del libretto, si può dire che, in occasione di Carmen, tale proposito venga realizzato solo parzialmente. Sebbene la produzione non abbia fatto ricorso a materiali di recupero (come accadde un anno fa con Rigoletto), pare piuttosto chiaro come tutto l’impianto scenografico sia volto ad offrire la miglior funzionalità al prezzo più basso; pertanto, per tre lunghi atti, la scenografia è costituita sostanzialmente da una grande scalinata, mentre nell’ultima parte possiamo vedere solo un’impalcatura che domina la folla e qualche transenna. Tale soluzione, di per sé piuttosto monotona e scialba, è ravvivata dalle proiezioni che identificano sulla scena, altrimenti anonima, le diverse ambientazioni del dramma. Il regista ha inoltre optato per un radicale spostamento dell’intera vicenda, che si svolge non più intorno a Siviglia, ma a Cuba. Non si può non concordare col regista sul fatto che le affinità siano molteplici e stuzzicanti (pensiamo, tra le altre cose, alle habanere, alle manifatture di sigari ed a tutta quell’aria latina così brillantemente musicata da Bizet), tali, quindi, da poter giustificare questa migrazione transatlantica; molto meno convincente, invece, la scelta del periodo di ambientazione, ovvero i giorni della rivoluzione cubana del 1959. Carmen è universalmente riconosciuta come un capolavoro assoluto che può prestarsi ad infiniti spunti di attualizzazione (quante volte il telegiornale ci parla di una donna uccisa dall’amante rifiutato?), pertanto il periodo storico scelto dalla regia ha, a nostro avviso, limitato l’universalità di questo titolo ad una situazione storica troppo precisa e, per la verità, poco calzante. Nei suoi comizi, Fidel Castro parlava forse di tori e corride alzando il pugno, come vediamo fare ad Escamillo nel secondo atto? E poi, che bisogno c’era di infarcire tutti i preludi orchestrali con proiezioni simil-cinematografiche di volti di Che Guevara e scritte rivoluzionarie? Avremmo sicuramente gradito molto di piùl’idea di una “Carmen cubana” in cui non si fosse tentata una ricostruzione non-storica che ha finito per allontanare l’attenzione sia dalla musica, sia dal nucleo della vicenda. Per quanto concerne la costruzione specifica delle singole scene, occorre confermare il grande talento di Livermore, capace di escogitare movimenti e situazioni che arricchiscono la narrazione, anche se, rispetto ad Otello, va segnalata una più marcata tendenza a strafare, specie nell’inserimento di alcune gag un poco fuorvianti. Coerenti e vitali i bei costumi di Gianluca Falaschi (con particolare lode per i meravigliosi bozzetti pubblicati sul programma di sala) ed apprezzabile anche la performance del gruppo DEOS guidato da Giovanni Di Cicco.
Andrea Battistoni, di ritorno anch’esso dopo l’Otello, ha offerto una lettura spigliata e dai tempi incalzanti, mantenendo buono l’equilibrio delle voci. Globalmente, si può riscontrare una certa crescita dell’interprete, specie nei momenti di maggiore introspezione. Ottime le voci bianche e nel complesso valida anche la prova del coro, meglio nella sezione femminile. Nel ruolo del titolo, Giuseppina Piunti è stata una Carmen dalla presenza intrigante e fascinosa, merito anche di una regia che sembra aver lavorato molto sul personaggio. La voce è morbida e sufficientemente sonora, pur non dirompente, anche nella zona grave della partitura e capace di quelle volute asperità del suono che (Callas docet) costituiscono una cifra stilistica ormai legata al personaggio. Risolve con carisma anche i passaggi solistici del personaggio, forte di un’interpretazione sicura e coinvolgente. Pomeriggio difficile per Fabio Armiliato, che deve raccogliere, pur tra le mura amiche del Carlo Felice, qualche contestazione al termine della recita. Il suo Don José non manca certo di piglio e di immedesimazione viscerale, ma lo strumento vocale è parso fuori forma e non supportato da un’adeguata respirazione, che la camicia rossa faceva ben vedere spesso eseguita al petto. Conseguenza di ciò è stata la necessità di spingere in molteplici passaggi e quindi un progressivo deterioramento, al punto che al terzo atto la situazione pareva compromettente per l’interprete che però è riuscito a portare a termine la rappresentazione.
Ottima Micaela quella di Silvia Dalla Benetta, capace, grazie ad uno strumento da autentico soprano lirico e tecnica salda, di rimarcare anche sul piano vocale l’abisso che la separa dalla zingara protagonista.Niente male anche Alexander Vinogradov, un Fidel-Escamillo dalla voce franca che se da un lato dimostra di possedere ottima padronanza del fiato, al contempo dovrebbe limitare questa qualità ai momenti in cui il compositore non prevede un’interruzione, per esempio evitando di sopprimere le pause (che sono note di eguale dignità rispetto a quelle sonore!) tra una sezione e l’altra della celebre aria del Toreador. Roberto Maietta (Le Dancaïre) è parso in crescita rispetto alle ultime apparizioni, ben coadiuvato da Manuel Pierattelli (Le Remendado). In parte anche Mercédès e Frasquita, al secolo Marina Ogii e Daria Kovalenko, entrambe provenienti dal progetto Ensamble Opera Studio; Ricardo Crampton è stato un Moralès gradevole, pur non sempre a fuoco ed ha ben figurato anche John Paul Huckle nel ruolo del (malcapitato: si becca una pallottola in testa) tenente dei Dragoni. I biglietti venduti per le prime tre rappresentazioni, non andate in scena a causa delle agitazioni dei lavoratori, sono stati dirottati sulle recite successive, facendo contare un elevato numero di presenze in platea ed addirittura qualche presenza nella galleria. Foto Marcello Orselli