Verona, Teatro Filarmonico: “Tosca”

Fondazione Arena di Verona – Stagione lirica 2016/2017
“TOSCA”
Melodramma in tre atti. Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal dramma omonimo di Victorien Sardou.
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca  FIORENZA CEDOLINS
Mario Cavaradossi  MURAT KARAHAN
Il barone Scarpia  GIOVANNI MEONI
Cesare Angelotti  GIANLUCA LENTINI
Il Sagrestano  MIKHEIL KIRIA
Spoletta  ANTONELLO CERON
Sciarrone  ANDREA CORTESE
Un Carceriere  DANIELE CUSARI
Un pastorello  STELLA CAPELLI
Coro e Orchestra dell’Arena di Verona
Coro voci bianche A. d’A.Mus.
Direttore Antonino Fogliani
Maestro del Coro Vito Lombardi
Direttore voci bianche Marco Tonini
Regia, scene, costumi Giovanni Agostinucci
Lighting designer Paolo Mazzon
Verona, 19 marzo 2017
Notevole successo di pubblico per questa Prima di Tosca al Filarmonico: una sala gremita accoglie uno degli spettacoli più attesi della stagione lirica veronese. Titolo tra i più amati del repertorio, Tosca ha da sempre il pregio di saper comunicare a un pubblico eterogeneo, grazie ad un registro stilistico variegato e all’immediatezza del suo impatto emotivo. È l’opera delle passioni violente, che si tratti di amore, odio, politica, sensualità, fede. L’ombra della spada dell’arcangelo Michele si allunga su una trama articolata e al contempo realistica, in cui permane il solito triangolo soprano – tenore – baritono, ma con caratteristiche che non si limitano al campo della passione amorosa. Il potere di Scarpia è quello di una classe politica esecrabile, che affina colle devote pratiche la foia libertina e si oppone alla potenza dell’amore tra due artisti, l’uno volterriano, illuminato e razionale, l’altra devota, pia e paradossalmente dalle passioni ancora più violente dei due protagonisti maschili.
Nella rappresentazione andata in scena a Verona ampio sviluppo narrativo è dato proprio alla potenza di queste passioni. La chiesa del primo atto si delinea con pochi, essenziali elementi: al centro la statua della Madonna, mentre il quadro della Maddalena/Attavanti incombe sulla destra, con il dettaglio dell’ occhio azzurro causa del primo attacco di gelosia di Tosca. A sinistra, l’ingresso della cappella degli Attavanti, dove trova momentaneo riparo Cesare Angelotti, amico giurato di Cavaradossi. Nel secondo atto ci spostiamo nei terribili luoghi della tortura di Cavaradossi e dell’omicidio di Scarpia: su un tavolo troviamo una rappresentazione degli strumenti della tortura, mentre le urla di Mario arrivano a Tosca dalla porta in cima ad una scala sullo sfondo. Con il terzo atto siamo a Castel Sant’Angelo, su cui incombe la statua dell’arcangelo Michele. Numerose le simbologie cui ricorre la regia di Giovanni Agostinucci: alla fine del primo atto Scarpia viene sollevato da una pedana al centro della scena mentre il Coro intona il Te Deum rivolgendosi proprio a lui, allo scellerato dinanzi a cui trema tutta Roma. Questa canonizzazione del potere politico romano si presta a innumerevoli elucubrazioni dietrologiche, ma non è il solo momento spiazzante della regia: la conclusione con Tosca che sceglie non di gettarsi dalla cima del castello ma di scagliarsi contro i fucili degl scagnozzi di Scarpia è causa di un certo scompiglio nel pubblico. Ma una diva come Fiorenza Cedolins riesce a rendere credibile anche questo finale alternativo: ogni gesto del celebre soprano furlano è magistralmente calibrato, regalandoci un’interpretazione di Floria Tosca assolutamente impeccabile. Negli attacchi di gelosia come nelle languide carezze la Cedolins presta attenzione ad ogni piccolo gesto e sottile dettaglio, attingendo con ogni fibra alla propria esperienza di cantante per immedesimarsi nella cantante Tosca, quasi si trattasse del proprio alter ego. E nel realizzare questa immedesimazione è certo d’aiuto una voce in splendida forma, con una notevole facilità in acuto e un fraseggio profondamente interiorizzato. La varietà dinamica cui può attingere la Cedolins è impressionante, particolarmente belli i pianissimi nei cambi di registro: “Vissi d’arte” è di conseguenza un momento di intenso e commovente lirismo. Molto bene anche il collega Murat Karahan nei panni dell’amante Mario Cavaradossi. Il tenore turco si mostra a proprio agio nel ruolo dell’appassionato pittore e affronta le asperità della partitura con ammirevole sicurezza, dando un taglio agguerrito e trascinante all’artista. Il suo Vittoria mostra uno squillo notevole e una bella agilità anche nelle tessiture più impervie. Allo stesso tempo la dolcezza degli accenti e il delicato studio della linea esprimono le ottime capacità anche nel registro medio-grave. Buona prestazione anche per Scarpia, Giovanni Meoni, che del personaggio esprime certamente la lasciva sensualità: la voce è, ma forse ci saremmo aspettati qualcosa in più nel Se la giurata fede. Il momento rimane efficace, ma l’interpretazione risulta un po’ trattenuta, come anche le dinamiche. Meoni dà certamente il meglio di sé nel Te Deum, sostenuto da un Coro unanimamente al meglio della forma, e all’inizio del secondo atto quando presenta al pubblico il proprio stile di vita e il suo aberrante rapporto con le donne. Cesare Angelotti era Gianluca Lentini, voce interessante che merita certamente un approfondimento. Adeguato ed efficace Mikheil Kiria nel ruolo del Sagrestano, come anche Antonello Ceron nel ruolo del viscido e infido Spoletta. Non delude la direzione di Antonino Fogliani, che asseconda i cantanti e trascina l’orchestra mettendo particolarmente in luce il ruolo degli archi. Se talvolta qualche agogica risulta fin troppo trattenuta, nel complesso i tempi risultano filologici e le dinamiche adeguate. Ottima la prestazione del Coro, istruito da Vito Lombardi: il Te Deum è eccezionale per potenza e coinvolgimento emotivo. Bene anche il Coro di voci bianche A.d’A.Mus diretto da Marco Tonini. Completavano efficacemente il cast Daniele Cusari nel ruolo di un carceriere e Andrea Cortese nel ruolo di Sciarrone. ll pastorello era Stella Capelli. Foto Ennevi per Fondazione Arena