Teatro Filarmonico: Verona Pops

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Sinfonica 2012/2013
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Roberto Gianola
Armonica a bocca
Gianluca Littera
Mikhail Glinka: “Ruslan e Ljudmilla”, ouverture
Heitor Villa- Lobos: Concerto per armonica e orchestra
James Moody:Toledo”, Fantasie espagnole per armonica e orchestra
Vittorio Vedovato: Il saggio pazzo
Antonin Dvořak:
Danze Slave per orchestra op.46
Verona,  8 marzo  2013
Il nono concerto della stagione sinfonica della Fondazione Arena,  ha avuto una forte connotazione “classico-popolare”, molto simile al tipo di programma che sarebbe usuale ai Boston Pops o alla Hollywood Bowl.  Nella fattispecie, il programma aveva un’ impronta folkloristica con una punta di contemporaneità che a sua volta guardava al mondo sonoro della musica da film e, visto che lo strumento solista era l’armonica a bocca, possiamo dire che il pensiero andava ai film  Western.
L’orchestra dell’Arena sotto la guida di Roberto Gianola si è lanciata con piglio nella festosa ouverture dall’opera Ruslan e Ludmilla di Glinka creando un’atmosfera brillante  anche se il tempo staccato non era particolarmente serrato. I passi brillanti nei violini risultavano puliti e serrati ma spesso coperti dai fiati, e nell’entusiasmo del finale la tendenza degli ottoni era di suonare troppo forte sforzando i suoni e distorcendo l’intonazione.
Il resto della prima parte del concerto era dedicato ad un strumento raramente visto nelle sale dei concerti di musica classica, l’armonica a bocca. Uno strumento moderno di matrice popolare, che ha trovato il compositore ideale nel  brasiliano Heitor Villa-Lobos, la giusta valorizzazione. Musicista di eclettica formazione che cercava di liberarsi dalle costrizioni della musica classica convenzionale, Villa-Lobos ha assorbito le influenze delle culture locali brasiliane che a loro volta si basavano su  elementi portoghesi, africano, indios, e la musica urbana di strada, chorőes, gruppi composti di flauto, clarinetto, e chitarra, e alle volte percussioni, e tromboni, con i quali talvolta egli stesso suonava. In Villa-Lobos sono stati poi importanti gli incontri  con Arthur Rubinstein, Andrés Segovia, Darius Milhaud,  fino a Edgard Varese, Pablo Picasso, Leopold Stokowski e Aaron Copland. Nel 1955 il virtuoso dell’armonica americano John Sebastian commissionò a Villa-Lobos un concerto, seguendo la sua stesura direttamente. Il risultato è un’esplorazione di tutte le possibilità tecnico-espressive di questo strumento apparentamene limitato. L’esecuzione, carica di intensità tecnica e interpretativa del solista Gianluca Littera, strumentista d’eccellenza e musicista completo e raffinato, ha valorizzato al massimo le potenzialità dello strumento dal brillante virtuosismo su tutta l’estensione, alla struggente qualità melodica, toccando tutto il gamma possibile di contrasti timbrici e sonori.  Il breve pezzo  Toledo, fantasie espagnole del pianista irlandese James Moody, prolifico compositore per questo strumento, ha attinto a un repertorio di “spagnolismi” di maniera compreso una ripresa del Bolero di Ravel, che ha comunque offerto al solista di sfoggiare ancora di più le sue capacità virtuosistiche accanto a una finezza e dolcezza di  frasi cantabili. Un aspetto che abbiamo ritrovato, con cosa che poi ha fatto con intensa bellezza nel bis Oblivion di Astor Piazzolla.   Nonostante gli sforzi del direttore, il suono esile dell’armonica ha faticato non poco ad uscire in maniera nitida dal tessuto sonoro, soprattutto in quei momenti in cui  l’orchestrazione era più corposa ( primo e terzo movimento del concerto).
La seconda parte del concerto si è aperta con poema sinfonico Il Saggio Pazzo, del compositore veneto Vittorio Vedovato, un grandioso affresco nella tradizione post-romantica, ispirato al prologo di una commedia dello scrittore napoletano Orlando Puoti che parla di un uomo schiacciato dal peso della realtà quotidiana, che si ribella, diventando un reprobo della società ma, in questo modo, ritrova se stesso.  Il compositore presenta un lavoro che, per esprimere le contraddizioni e le dinamiche subdole della società, sovrappone a più linguaggi espressivi con brusche interruzioni e frammentazioni che servono a delineare i tratti programmatici dei temi. Il risultato però si presenta però piuttosto  disomogeneo. Il Saggio Pazzo  è una partitura che impiega un grande organico: 2 arpe, clarinetto basso, controfagotto, marimba, 4 percussioni in più ai timpani, oltre l’orchestra al completo, e lo utilizza alternando frasi di ampio respiro che richiamano certe colonne sonore (oltre a evidenti riferimenti a Prokofiev e Strauss), con episodi di rottura a contrasto affidati a gruppi ridotti di strumenti.  Il direttore d’orchestra ha mantenuto un buon equilibrio è coesione musicale fra tutte queste forze. Peccato che i violini e la marimba hanno mostrato qualche cedimento nell’intonazione.
Il concerto si è concluso con le Danze Slave op. 46 di  Dvorak, 8 danze scritte originariamente per pianoforte a quattro mani, che dipingono  le diverse anime e caratteri dello spirito popolare slavo in un  elegante susseguirsi di ritmi insistenti o sincopati, melodie malinconiche e nostalgiche, scatti impetuosi e vivaci. Il tutto reso con la dovuta efficacia  dall’orchestra, che ha trascinato il pubblico in un giocoso vortice. Alla fine,  il folto pubblico ha tributato a tutti un caloroso e convinto successo. Foto Ennevi per Fondazione Arena