Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2012/2013
“SAMSON ET DALILA”
Opera in tre atti Libretto di Ferdinand Lemaire
Musica di Camille Saint-Saëns
Sansone ALEKSANDRS ANTONENKO
Dalila OLGA BORODINA
Abimelech MIKHAIL KOROBEINIKOV
Il Gran Sacerdote di Dagon ELCHIN AZIZOV
Un vecchio ebreo DARIO RUSSO
Primo Filisteo GREGORY BONFATTI
Secondo Filisteo FILIPPO BETTOSCHI
Un Messagero Filisteo NICOLA PAMIO
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera
Direttore Charles Dutoit
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia ed Impianto Scenico Carlus Padrissa/La Fura dels Baus
in collaborazione con Zamira Pasceri e Jaume Grau
Costumi Chu Uroz
Movimenti coreografici Adriana Borriello
Maestro Bondage Alfil
Video Marcos Molinos
Impianto luci Agostini Angelini
Nuovo allestimento
Roma 07 aprile 2013
Questo titolo, caposaldo della letteratura operistica francese, mancava dal Teatro dell’Opera di Roma dal 1963, quando venne allestito con un cast stellare per i tempi, e non solo, con Giulietta Simionato, Mario Del Monaco nelle parti dei protagonisti e la direzione di Franco Capuana. Viene riproposto oggi a distanza di tanti anni attraverso la lettura che ne offre il gruppo della Fura dels Baus. In linea con la cifra espressiva di questa compagnia spagnola, tutta la regia è impostata su un continuo bombardamento di proiezioni, sulle tinte dominanti del bianco e del nero con improvvisi e violenti squarci di rosso sempre volti a sottolineare il sangue, ora vivo ora raggrumato e le lacrime anche nel trucco e nei costumi dei coristi che nel primo atto indossano dei fotofori frontali che fanno molto sala operatoria forse con l’intento, oltre agli espliciti riferimenti al sado-maso, al bondage, al chubby, al doggy style e quant’altro, di citare anche il genere medical. A parte questi particolari che possono fare sensazione anche in modo simpatico ma non possono costituire certo la sostanza di uno spettacolo, l’effetto visivo generale era francamente brutto e risaputo e non aiutava minimamente a chiarire lo sviluppo della vicenda, la sua collocazione storico-temporale volutamente confusa dalla contemporanea presenza di personaggi in abiti novecenteschi, biblici e da fantascienza né a definire una chiave di lettura dell’opera, quale che fosse. In molti momenti soprattutto le proiezioni si sovrapponevano semplicemente alla musica ed ai personaggi in scena creando un contrasto stridente e distraente dall’ascolto, come se si fissasse lo schermo di una vecchia televisione priva del collegamento con l’antenna. Nonostante questo apparato iper-tecnologico da guerre stellari al quale voleva evidentemente essere affidata la gran parte del messaggio espressivo, i cantanti davano al contrario l’impressione di essere lasciati a loro stessi per quanto riguardava la recitazione ed i movimenti di scena, rifugiandosi spesso nella tanto esecrata recitazione convenzionale, viso in alto, braccia in avanti, mani nei capelli et similia, raffreddando così l’atmosfera di diversi momenti come il duetto del secondo atto fra i protagonisti e contribuendo ulteriormente ad aumentare il divario palpabile e la sostanziale estraneità tra un testo ostentatamente accademico e “conservatore” ed un simile approccio interpretativo. Ciò che lascia perplessi non sono tanto le scelte esecutive del gruppo della Fura dels Baus che possono piacere o meno e per la realizzazione delle quali, come si legge dalla locandina, sono stati comunque necessari un regista e due collaboratori, un costumista, un aiuto costumista, un addetto ai movimenti coreografici, un aiuto coreografo, un direttore tecnico, un addetto alla produzione, un collaboratore alla produzione, un addetto ai video e anche un maestro di bondage che da quanto si trova in internet sembra essere una personalità di spicco del settore, ma l’intenzione di chi ha pensato di coinvolgerli in una operazione del genere, specialmente in una epoca di difficoltà economiche.
Pensare di illustrare la musica del Samson partendo in modo retrospettivo da un certo gusto del ‘900 ed evidenziandone o attribuendole in modo arbitrario solo violenza, perversione e la loro compiaciuta e ostentata esplicitazione è un’operazione a nostro avviso riduttiva e che difficilmente può funzionare proprio per il contrasto con la scrittura musicale, la tipologia del testo e con il gusto e le risapute intenzioni del compositore che all’epoca non a caso fu fiero avversario di numerosi suoi colleghi che ricercavano linguaggi espressivi più “moderni”. Per vie diverse infine, un simile approccio è destinato ad accentuare ulteriormente e non a ricomporre la dicotomia intrinseca alla composizione, della quale probabilmente era consapevole anche l’autore, tra la ieraticità del soggetto biblico e i numerosi momenti leggeri e delicati della musica, diluendo molto la drammaticità, il senso e la capacità di impatto emotivo di molte scene, trasformando un dramma epico di scontro fra popoli nel quale si inscrivono le vicende personali, in vicenda borghese di singoli. Fare i baffi alla Gioconda, se fatto una volta sola, può avere una valenza espressiva dirompente poi, se si avverte in se una tanto forte “vis” creativa, bisognerebbe assumersi l’onere di provare a dipingere quadri nuovi e magari anche di uscire a fine spettacolo insieme al resto della compagnia per confrontarsi con il giudizio del pubblico.
Lo spettacolo tuttavia sia pure con questa impostazione di base è stato fortunatamente riscattato dalla parte musicale. Ottima e ricca di colori la direzione di Charles Dutoit alla guida di un’orchestra sempre migliore per quanto riguarda rigore musicale e bellezza di suono. Molto buona la prova del coro diretto da Roberto Gabbiani e nell’insieme omogenea e di ottimo livello tutta la compagnia di canto. Splendido protagonista il tenore Aleksandrs Antonenko per potenza e colore vocale, fraseggio e verità teatrale. A dispetto di un costume irrimediabilmente brutto e ridicolo con un finto seminudo da super-eroe della fantascienza in versione decolorata ed una parrucca rasta lunga fino ai piedi che portava a mò di stola su un braccio, ha saputo tratteggiare un Samson appassionato, eroico e dolente con accenti giustamente misurati e sempre ispirati e sinceri. Nel ruolo di Dalila, Olga Borodina ha confermato la sua interpretazione del personaggio. Magnifica la resa puramente vocale per sonorità, fraseggio, tenuta dei fiati e colori, sia pure con qualche prudenza in più rispetto al passato, il suo personaggio è tuttavia rimasto caratterizzato in modo un po’ generico e con una certa freddezza di fondo che ne ha limitato soprattutto la capacità di seduzione anche grazie alla regia e ad un costume che certamente non aiutava. Soprattutto i momenti delle sue tre arie, cantate molto bene, infatti sono risultati particolarmente afflitti dall’invadenza delle proiezioni. Molto efficace scenicamente e valido musicalmente l’Abimelech di Mikhail Korobeinikov. Elchin Azizov ha impersonato un Gran Sacerdote di tutto rispetto per bel timbro vocale, fraseggio, precisione musicale ed intenzioni interpretative. Bravissimo Dario Russo nella breve ma significativa parte del vecchio ebreo, cantata con autentica voce di basso dal timbro naturalmente scuro, nobile, morbido ed omogeneo ed interpretata con una figura scenica elegante e credibile. Efficaci e su un livello di buona professionalità Gregory Bonfatti, Filippo Bettoschi e Nicola Pamio rispettivamente nei ruoli di primo e secondo filisteo e del messaggero. Alla fine grandi applausi per tutti con qualche evidente cenno di dissenso probabilmente all’indirizzo del regista assente. Foto Amisano & Bacciardi

Si capisce, dalla tua recensione, quanto tu poco sia in grado di apprezzare un allestimento così evocativo come quello che è andato in scena all’Opera di Roma con il “Samnson et Dalila”.
Ho personalemente trovato l’uso delle proiezioni e i diversi piani su cui si giocavano le stesse di una rara capacità comunicativa. Non vedo peraltro alcuna parola nella tua recensione sul meraviglioso “balletto” dei fiori del primo atto. La capacità di progettare e saper riadattare a livello scenico elementi mobili ed eterei come quegli scheletri di metallo e stoffa, facendoli apparire prima fiori ed infine colonne, era di una raffinatezza tale che non credo servano neppure parole per descriverla.Chiunque l’abbia visto, può rendersene conto e capire quanto sia apprezzabile ed evocativo, al pari di un allestimento “Ferrettiniano” come poteva essere quello del “Simon Boccanegra” seppur, ovviamente, di diverso esito formale.
Vorrei poi sentire un tuo suggerimento per rendere l’orgia dei Filistei dell’ultimo atto. Ho personalmente trovato efficace e coinvolgente la resa scenica del tutto, meglio forse di un classico balletto che tra l’altro sarebbe dovuto essere molto più allusivo di una sessualità promiscua delle stesse pratiche bondage messe in scena. Non c’era nulla che offendesse gli spettatori in quelle persone legate e appese non più di quanto si possa vedere oggi in giro per le strade o in televisione. Per concludere credo inoltre che l’uso delle proiezioni, che tu tanto critichi, sia risultato molto efficace nel complesso e in particolar modo nella scena finale del crollo del tempio. L’effetto era di taglio quasi cinematografico, combinando sapientemente elementi fisici che cadevano realtmente a suggestioni luminose che accentuavano il tragico epilogo.Se poi sarebbe stato più realistico far cadere blocchi di polistirolo verniciato, in tile Hollywoodiano anni Cinquanta, questo lo lascio giudicare a te…
Ho visto l’opera il 9 aprile e mi è piaciuta moltissimo. È stato, secondo me, uno spettacolo emozionante e coinvolgente dal primo all’ultimo minuto, cosa che, nell’opera, è difficilissimo da realizzare. Sono musicista, non sono melomane, tutt’altro e non mi ero preparato al Sansone e Dalila: ero dunque da un certo punto di vista “puro” alla vista e all’ascolto. La musica mi è piaciuta moltissimo e complimenti al direttore, ai solisti e all’orchestra, davvero una serata quasi perfetta musicalmente. Lo spettacolo scenico, pur talmente caratterizzato, spesso violento e shoccante, l’ho trovato magnifico. Non mi sono annoiato un solo minuto e in alcuni momenti, vedi la scena della seduzione alla fine del primo atto e il finale nel tempio, insieme alla stupenda musica di Saint Saens, è stato, secondo me, molto molto emozionante.
E sono perfettamente d’accordo con Ivo: centomila volte meglio una proiezione forse anche troppo invasiva, del solito polistirolo anni ’50
Condivido al 100% la recensione. Ho trovato realmente fastidioso il profluvio di proiezioni. A Ivo e Aldo sono piaciute? Beh, ognuno ha i suoi rispettabilissimi gusti. Io parto dall’assunto che, in uno spettacolo teatrale, vengano sollecitati fondamentalmente due dei nostri cinque sensi: la vista e l’udito. Se uno dei due, la vista, è troppo sollecitato, ne risulta penalizzato l’altro. Ed è stato un peccato essere distratti, fin dall’inizio, dall’ascolto di una musica bella e ben eseguita. Il gran finale sadomaso non mi ha certo scandalizzato in sè; mi ha fatto urlare, a spettacolo finito, “il regista è da appendere!”, ma solo per la banalità del tutto: le “vittime” rapite in platea tra il pubblico, la ricerca dell’originalità a tutti i costi, con la brutalità dei vincitori che legano, incaprettano, appendono, fanno mangiare da una ciotola a terra, l’ossessione di voler riempire sempre gli occchi dello spettatore.
Che noia! Per fortuna ci hanno risparmiato nazisti e panzerdivision! Sono 40 anni che vedo spacciare per “cultura” le masturbazioni cerebrali di registi interessati solo a far parlare di sé.
Tutto sommato era stata meno peggio l’Aida di qualche anno fa, con la risibile regia di Wilson; perlomeno non disturbava l’ascolto.
Ai signori Ivo e Aldo mi permetto di ricordare che l’Opera è fatta in primis di voci. Io vorrei vederne tanta cartapesta anni ’50 se a cantare ci fossero una Simionato e un Del Monaco!
Forse i teatri, anziché sperperare i pochi soldi che hanno in allestimenti di scarso o nullo valore culturale, dovrebbero investire nella preparazione di cantanti degni del nome. La Borodina non è più una ragazzina, lo si notava dagli acuti affaticati, ma resta una grande mezzosoprano, una delle poche ad avere anche le note gravi, e ad averle pregevoli; quando si ritirerà dalle scene, chi avremo al suo posto se non si educano le nuove leve al cantare corretto? Per favore, non ditemi la Bartoli!
Concludo con un’amara constatazione: i danni dell’odierno “teatro di regia” applicato all’Opera sono tali che persino un valente e attento recensore oramai parte dalla lettura registica dell’opera! L’Opera è azione scenica in musica, dove il canto è la componente principale.
Il commento di Ivo era necessario e complementare alla recensione ed esprime benissimo come lo spettatore/ascoltatore fosse coinvolto ora dall’incanto raffinato di alcune scene delicatissime ora dalla potenza distruttiva e mortifera di altre. Però – è vero – a volte ci si sentiva “afflitti dall’invadenza delle proiezioni”, proiezioni molto belle sempre (rimandavano per forza espressiva alle inquadrature di Dreyer o di Ejzestejn), ma spesso invadenti.
In questo allestimento i protagonisti erano sia i cantanti che le immagini: questo, a mio avviso, è stato il nucleo qualificante lo spettacolo. Non penso che al posto degli interpreti sarei grata al regista per la scelta di un impianto che prevede che non siano i cantanti a magnetizzare l’attenzione del pubblico, però come pubblico gli sono grata per l’esperienza emotiva molto, molto coinvolgente che con tanta veemenza è stato capace di crearmi. All’interno di una storia fatta tutta di lotte e di contrapposizioni, lotta in un certo senso c’era anche tra i cantanti e le immagini filmiche che si rincorrevano come per non lasciarsi sovrastare gli uni dalle altre, in un ritmo serrato di grande sapienza di montaggio e di grande bellezza visiva.
E se volentieri ritornerei al Teatro dell’Opera per assistere a una seconda rappresentazione così da poterla rivedere senza subirne lo shock, come giustamente dice Aldo, sento emergere il desidero di rivedere una Samson et Dalila “normale”, per potere assaporare di più la sua essenza musicale.
Il commento di Ivo era necessario e complementare alla recensione ed esprime benissimo come lo spettatore/ascoltatore fosse coinvolto ora dall’incanto raffinato di alcune scene delicatissime ora dalla potenza distruttiva e mortifera di altre. Però – è vero – a volte ci si sentiva “afflitti dall’invadenza delle proiezioni”, proiezioni molto belle sempre (rimandavano per forza espressiva alle inquadrature di Dreyer o di Ejzestejn), ma spesso invadenti.
In questo allestimento i protagonisti erano sia i cantanti che le immagini: questo, a mio avviso, è stato il nucleo qualificante lo spettacolo. Non penso che al posto degli interpreti sarei grata al regista per la scelta di un impianto che prevede che non siano i cantanti a magnetizzare l’attenzione del pubblico, però come pubblico gli sono grata per l’esperienza emotiva molto, molto coinvolgente che con tanta veemenza è stato capace di crearmi. All’interno di una storia fatta tutta di lotte e di contrapposizioni, lotta in un certo senso c’era anche tra i cantanti e le immagini filmiche che si rincorrevano come per non lasciarsi sovrastare gli uni dalle altre, in un ritmo serrato di grande sapienza di montaggio e di grande bellezza visiva.
E se volentieri ritornerei al Teatro dell’Opera per assistere a una seconda rappresentazione così da poterla rivedere senza subirne lo shock, come giustamente dice Aldo, sento emergere il desidero di rivedere una Samson et Dalila “normale”, per potere assaporare di più la sua essenza musicale.
prendo in prestito dal buon Fantozzi la critica dello stesso alla
corazzata potemkim……..
io sono frequentatore d’opera da 40 anni circa, appassionatop, ma non fanatico- credo di saper distinguere
il grano dalle erbacce. Sansone e Dalila è un a delle mie opere preferite,per il fascino della sua musica. La posseggo in C e DVD con grandi interpreti.L’ho vista in teatro almeno 5 volte compresa questa e mai ho visto uno scempio simile, una tale discrepanza tra il soggetto, la musica, e le scene e la regia. Non sonoun retrogrado, mi piacciono le innovazioni, le modernizzazioni, le rivisitazioni sia in opera che in danza, ma devono essere coerenti, devono avere una logica, devono avere una comprensibilità ed un fascino che ti catturano.
Sono d’accordo con il recensore Francesco, ma le proiezioni
erano brutte, il bianco e nero straniante- Le scene non suggerivano niente dell’atmosfera che avrebbe dovuto esserci,
i costumi davvero brutti, e poi quel miscuglio tra moderno e
e antico, le acrobazie inutili- La meravigliosa musica del Baccanale per un’orrenda scena sado-maso che si rifaceva al “Salò” di Pasolini- Tutto dejavu ed irrimediabilmente brutto e sensa senso- Meno male si sono salvati i cantanti e la musica- Meno male ho il ricordo del meraviglioso allestimento che ci fu a Torino per la regia del grande Ronconi. Penso che in futuro eviterò opere con regie della Fura del Baus- Non vorrei rischiare altre delusioni