Torre del Lago, 65° Festival Puccini 2019: “Tosca”

Torre del Lago (LU), Gran Teatro “Giacomo Puccini”– 65° Festival Puccini
TOSCA
Dramma in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca LACRIMIOARA CRISTESCU
Mario Cavaradossi ALEJANDRO ROY
Il barone Scarpia STEFAN IGNAT
Cesare Angelotti DAVIDE MURA
Il sagrestano CLAUDIO OTTINO
Spoletta FRANCESCO NAPOLEONI
Sciarrone ANDREA DE CAMPO
Un carceriere MASSIMO SCHILLACI
Un pastorello ANNA RUSSO
Orchestra, Coro e Coro delle Voci Bianche del Festival Puccini
Direttore Hirofumi Yoshida
Maestro del Coro Roberto Ardigò
Voci bianche dirette da Viviana Apicella
Regia Dieter Kaegi
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Fondazione Cerrattelli, Pisa
Luci Nino Napoletano
Allestimento in coproduzione con il Teatro dell’Opera di Georgia – Tblisi
Torre del Lago, 24 agosto 2019
La coproduzione tra Festival Puccini e Teatro dell’Opera di Georgia, per “Tosca”, può dirsi riuscita, e ben conclude la kermesse pucciniana di quest’anno. Infatti, pur trovandosi lontana dal rasentare la perfezione, soprattutto dal punto di vista musicale, la replica conclusiva del festival vede schierato un buon cast per una realizzazione scenica ponderata e molto fedele al libretto. Questo è il pregio principale da riconoscere alla regia di Dieter Kaegi: non mostra strane velleità interpretative, né cantanti allo sbaraglio sul palco, ma una chiara costruzione prossemica, una serie di gesti per lo più puliti, una coerente parabola emotiva, il tutto nel pieno rispetto del libretto. Certo, si potrebbe obiettare che è facile concepire una regia coinvolgente e ben orchestrata rimanendo aderente ad un libretto a firma Giacosa-Illica e una partitura del Puccini maturo: allora, ribatto, come mai si sono viste (e certo si vedranno in futuro) tante “Tosche”, “Butterfly” e “Bohème” discutibili – per non dire orrende – negli ultimi trent’anni? Non sarà forse che l’élan creativo, con opere tanto collaudate, vada domato e incasellato nel dettaglio, nel particolare di buon gusto, piuttosto che in boutade in cerca di applausi che raramente se ne attirano davvero? Dieter Kaegi sembra seguire esattamente questo filone “misurato”, e riesce a darci uno spettacolo godibilissimo, più di molti altri. Le belle scene di Carlo Centolavigna contribuiscono decisamente alla buona riuscita: crea due spazi ad angolo per il primo e il secondo atto, riprendendo dettagli delle ambientazioni originali e ponendoli in questa prospettiva disorientante; il terzo atto è forse il meno convincente: bella la gigantesca statua dell’angelo con il piedistallo a gradini, meno funzionale la cancellata che lo circonda; peccato per una gru dimenticata dai macchinisti in piena vista di pubblico, che inficia l’atmosfera e spezza le simmetrie dallo sfondo. Altrettanto pregevoli i costumi della Fondazione Cerrattelli di Pisa: particolarmente sontuosi, per ricami e leggiadria, gli abiti di Tosca, che, però, per coerenza narrativa, non dovrebbe cambiarsi tra secondo e terzo atto. A parte questa svista, i costumi, di foggia tradizionale, sono senz’altro ben fatti e ben figurano in scena in ogni occasione, dagli alti prelati della fine del primo atto ai soldati del terzo. Efficaci e sottilmente calligrafiche le luci di Nino Napoletano nel secondo e nel terzo atto, meno nel primo, dove si sarebbero potuti mettere in maggiore evidenza gli spazi di Sant’Andrea della Valle – l’altare della Madonna, la cappella degli Attavanti, il soppalco di Cavaradossi. Insomma, ben più che riuscito tutto l’apparato di scena. Della compagnia di canto, invece, siamo meno convinti, per quanto il livello generale sia quello della correttezza: il molto osannato Alejandro Roy (Cavaradossi), ad esempio, ha certamente volumi ed intonazione, che sa mantenere salda anche negli acuti, anche se qua e la tende a suoni nasali; nel fraseggio, invece, lo troviamo piuttosto monocorde; Stefan Ignat, baritono romeno interprete di Scarpia, ha bei colori bruniti nella sua vocalità, ma voce non particolarmente ampia; dal punto di vista scenico risulta tuttavia ben espressivo e il personaggio può comunque dirsi riuscito. È senza dubbio scenicamente molto disinvolta la protagonista Lacrimioara Cristescu, al suo debutto italiano: di bella presenza scenica e con una vocalità piena e pastosa, si fa subito apprezzare dal pubblico; anche la sua tecnica è abbastanza solida e il porgere è nobile. Purtroppo, forse per l’emozione, la Cristescu in “Vissi d’arte” fraintende la linea di canto e l’agogica, quasi stravolgendone il senso. L’amara riflessione di Tosca perde di lirismo, di quella femminilità macerante che la pervade e che si traduce invece in una linea di canto stentorea, benché accompagnata da una buona consapevolezza fisica, che ne salvaguarda l’estetica di scena. Per il resto, il giovane soprano romeno può ben dirsi una bella scoperta, e ci auguriamo possa acquisire maggiore maturità vocale e di poterla vedere ancora sui nostri palcoscenici. I ruoli secondari sono tutti ben cantati: Davide Mura (Angelotti), Francesco Napoleoni (Spoletta),  Massimo Schillaci (Un carceriere). Particolarmente degni di nota lo  Sciarrone di Andrea de Campo – che sfodera ottime qualità timbriche – e soprattutto il Sacrestano di Claudio Ottino, capace di caratterizzare alla perfezione un personaggio che sa farsi ricordare, supportandolo con un canto corretto e una dizione chiara e ben scandita. Un po’ fragile il pastorello di Anna Russo. Pure la direzione del maestro Hirofumi Yoshida desta qualche perplessità: si sentono alcune discrasie tra buca e scena (la più evidente proprio nel già citato “Vissi d’arte”), e l’attenzione del direttore è tutta orientata agli ottoni, tralasciando gli archi, che infatti danno avvisaglie di scarsa coesione in più di un passaggio; d’altro canto Yoshida sa mettere ben in evidenza i colori tesi e cupi della narrazione di partitura, in particolare nel secondo atto e nel finale. Le prove dei cori sono come sempre di livello, riconfermando le efficaci direzioni dei maesti Roberto Ardigò e Viviana Apicella. Si conclude così un Festival Puccini senz’altro caratterizzato da scelte anche coraggiose – “La fanciulla del west” ad inaugurarlo, la ripresa de “Le villi” con “I crisantemi” – e una sempre alta qualità musicale e teatrale, con poche (per quanto pesanti) cadute di stile; Torre del Lago può ben dirsi, oggi più che mai, la Casa di Puccini, oltre che uno degli eventi immancabili dell’estate operistica italiana, in grado di mantenersi saldo a prescindere da scossoni sociopolitici e amministrativi. Foto Giorgio Andreuccetti