Tragedia in quattro atti su libretto di Tito Ricordi, dalla tragedia omonima di Gabriele D’Annunzio. Prima rappresentazione: Torino, Teatro Regio, 19 febbraio 1914.
Gabriele D’Annunzio, è noto che fu fonte d’ispirazione di molti musicisti italiani e stranieri, appartenenti a scuole e provenienze diverse. Dai divulgatori del wagnerismo, come Montemezzi, o il verista Mascagni o l’ascetico Pizzetti avevano attinto a questa abbondante fonte. Per Riccardo Zandonai l’incontro con D’Annunzio, avvenuto quando non era ancora trentenne, rappresentò qualcosa di più di una semplice attrattiva per la tragica vicenda di Francesca da Rimini. Significava anche un allargamento dell’orizzonte musicale e ricerca di una più intensa prospettiva sentimentale. Uscito dalla scuola di Mascagni, Zandonai si era subito orientato verso una drammaturgia ardente e opulenta, arricchita peraltro da un vivo interesse strumentale, che non era condiviso dal suo celebre maestro.
L’incontro con D’Annunzio provocò non il superamento (poiché, nei suoi aspetti più tipici, e quasi diremmo costitutivi, Zandonai resta sempre legato al mondo verista) ma l’affinamento della concezione teatrale. In particolare il lirismo estenuato, anche se romanticamente palpitante dei protagonisti, l’indefinita passione del loro incontro, vennero tradotti musicalmente in piena assonanza con la provocazione poetica. Ne uscì un lavoro che senza rinunciare al segno forte ed estroverso o alla pittura ambientale, uscita dalla rievocazione di canti di luoghi medievali (da qui il ricorso a strumenti inusuali, come la viola pomposa, il liuto o il piffero) alle vivide, anche se alquanto illustrative, concitazioni guerresche, scopriva un luogo di tenerezza intimistica e crepuscolare, sfibrata e decadente, a suo modo singolare. La scrittura musicale è esposta a sollecitazione diverse, come doveva accadere in un compositore ansioso di aggiornarsi, ma pur sempre radicato in un preciso momento del nostro mondo melodrammatico. È facile rintracciare nella Francesca da Rimini una moderata assimilazione di Debussy, accolto non nelle sue componenti innovatrici, ma come prosecuzione dell'”opéra-lyrique” di fine secolo (il suggestivo interludio orchestrale dell’atto terzo è una versione didascalica dei pannelli sinfonici del Pelléas) o un accostamento o al wagnerismo e al post wagnerismo, specie in certi impasti strumentali di gusto decisamente floreale. Ovvio che le apparenti tinte straussiane sono poi stemperate in inclinazioni melodiche di diverse estrazioni, in tutto e per tutto italiane. Poiché Zandonai, proprio nelle pagine migliori di Francesca da Rimini – e sono quelle che ci raccontano appunto l’incontro dei protagonisti, come il finale dell’atto primo o il celebre duetto del terzo – si rivelò in realtà un sensibile continuatore della lezione pucciniana, dilatata però in una più corposa intelaiatura drammatica, ove si riscontra anche qualche marginale assonanza con Otello (la figura di Malatestino, per esempio, mostra qualche cosa della perfidia di Iago), pur essendo egli indifferente ai reali significati dello stile verdiano.
La vicenda, com’è noto, si ispira al celebre episodio dantesco, arricchito dalle notizie che sugli sventurati amanti ci sono state tramandate dal Boccaccio. Inoltre D’Annunzio, nell’intento di ideare, “un poema di sangue e di lussuria “, incluse accanto alle figure di Paolo, Francesca e Gianciotto, anche quella di Malatestino, pure invaghito di Francesco e rivelatore dell’adulterio, personaggio che appare anche nella riduzione librettistica redatta da Tito Ricordi. L’opera, rappresentata al teatro Regio di Torino il 19 febbraio 1914, fu accolta con grande successo ed ebbe, specie tra le due guerre, una larghissima popolarità, favorita da celebri cantanti come la Raisa e la Dalla Rizza, la Cigna, la Somigli, la Caniglia, fino alla Olivero e alle più recenti Kabaivanska e Scotto. Immagini Archivio Storico Ricordi