Genova, Teatro Carlo Felice: “Beatrice di Tenda”

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione d’Opera 2023/24
BEATRICE DI TENDA”
Tragedia lirica in due atti di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Filippo Maria Visconti MATTIA OLIVIERI
Beatrice di Tenda ANGELA MEADE
Agnese del Maino CARMELA REMIGIO
Orombello FRANCESCO DEMURO
Anichino MANUEL PIERATTELLI
Rizzardo del Maino GIULIANO PETOUCHOFF
Orchestra e Coro  dell’Opera Carlo Felice
Direttore d’orchestra Riccardo Minasi
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Regia Italo Nunziata
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Alessio Rosati
Luci Valerio Tiberi
Nuovo Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in coproduzione con la Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
Genova, 17 marzo 2024
Nel parlare della “Beatrice di Tenda” in scena in questi giorni al Carlo Felice di Genova è fondamentale scindere bene tre aspetti della produzione: l’opera per quello che è intrinsecamente, la dimensione scenica e i risultati musicali. L’opera, sia detto una volta per tutte, è un capolavoro, che ad oggi non può e non deve più comparire tra le opere rare: per quanto drammaturgicamente presenti alcune farragini, la musica di Bellini riesce a sciogliere qualsiasi riserva. Le parti vocali sono ricchissime e complesse, i cori sono tra i migliori del repertorio belliniano, l’orchestrazione è travolgente e tutta tesa alla resa drammaturgica; insomma: occorre che compaia in molte più stagioni d’opera, in Italia e ancor più all’estero, dove è davvero un titolo caduto nel dimenticatoio. Detto questo, tributato il giusto plauso all’ottima scelta dell’Opera Carlo Felice, e forse proprio in virtù di questo, non si può non restare un poco interdetti nell’assistere a una messa in scena (curata da Italo Nunziata) decisamente troppo spoglia, per lo meno nel primo atto: il palco, organizzato su due livelli, e incorniciato da giganteschi quadri talvolta animati da proiezioni, è del tutto vuoto per la prima ora e mezza, e, ahinoi, non si ravvisa una regia abbastanza forte che lo riempia. In poche parole: è un primo atto tutto di pose, di luci di taglio (per quanto splendide, curate da Valerio Tiberi), di passeggiatine, di “salgo il gradino, scendo il gradino”, fino ad arrivare al paradossale duetto di Beatrice e Filippo in cui è più che evidente che i due interpreti non sappiano né cosa né come fare, giacché non è loro concessa manco una sedia, un qualsivoglia punto d’appoggio. Non basta l’eleganza dei costumi di Alessio Rosati, né la bella presenza scenica degli interpreti a riempire un vuoto, le cui ripercussioni si fanno presto risentire su una platea singolarmente assonnata (a parte per gli applausi in odor di delirio per la Meade). La riprova di questa fatale staticità sta nel fatto che al secondo atto bastano una decina di sedie e due tavoli per sembrarci molto più frizzante, sebbene alcune trovate non siano particolarmente riuscite (vedi sub vocem “girotondo del coro maschile”): insomma una regia letteralmente riuscita per metà, ed è un peccato, considerate le scelte senza dubbio eccentriche proposte dalla scena (ma che a noi son garbate, bravo Emanuele Sinisi, anche nella selezione delle foto di Ola Kolemhainen), così come dal voler ambientare la vicenda nel “futuro”, a fine Ottocento. Per fortuna che questa mezza riuscita viene letteralmente travolta dalle prove del cast vocale, davvero in stato di grazia. Abbiamo spesso già coperto di lodi – e sempre a ragione – l’americana Angela Meade (Beatrice), quindi su di lei non ci dilungheremo troppo: basti dire che è “la” Meade, in tutto e per tutto, col suo suono al contempo cristallino e tornito, i filati preziosi, le agilità precisissime, il fraseggio accorato;  Mattia Olivieri, giovane e fascinosissimo baritono puro, già visto in ruoli leggeri anche in piazze importanti, possiamo dire che qui ottenga una piena consacrazione: il suo Visconti è ben tratteggiato nelle linee di canto omogeneo, nel suono naturalmente morbido che si piega su accenti di tagliente crudeltà, nel fraseggio cui non fugge un tormento, un palpito, uno scatto. E dire che una comunicazione di servizio prima della recita ce lo dava per indisposto! Accanto a lui un sontuoso Francesco Demuro rende giustizia all’ardua tessitura di Orombello con una linea di canto ormai davvero collaudata; il suono è sempre piacevolmente esibito, ben portato, e scenicamente il tenore si spende con misura. Ci fa piacere ritrovare anche una Carmela Remigio vocalmente presente a se stessa, sebbene la Remigio sia sempre sul piano scenico che vinca la partita: la sua Agnese del Maino è splendidamente recitata, oltre che cantata, e attira l’attenzione anche nei concertati, oltre che nei duetti (superbo il terzetto finale con Beatrice e Orombello dalla quinta). È giusto lodare anche la bella prova di Manuel Pierattelli nel ruolo di Anichino, il fedele di Beatrice che tenta in ogni modo di scolparla: la voce di tenore forse un po’ generica si fa notare grazie a un’ottima tecnica e all’appropriato trasporto scenico. Apprezzabile pure la prova di Giuliano Petouchoff, nel breve intervento affidato a Rizzardo Del Maino. Il coro dell’Opera Carlo Felice – ottimamente istruito dal maestro Claudio Marino Moretti – fornisce una prova all’altezza delle aspettative, sia sul piano vocale che quello scenico. La concertazione del maestro Riccardo Minasi, invece, ha dato risultati più alterni: molto a suo agio nelle parti più eroiche, ci è parso poco morbido in quelle più liriche, e in alcuni momenti l’unità buca e scena ha vacillato; tuttavia Minasi ha saputo dare il giusto risalto a quella drammaturgia musicale di cui spesso abbiamo parlato, e che, come detto all’inizio, caratterizza specificamente quest’opera. Il pubblico ha calorosamente accolto la recita, con espressioni particolarmente affettuose nei riguardi della Meade e di Olivieri – sebbene per ragioni chiaramente differenti. Si replica fino al 22 marzo. Foto Marcello Orselli