Krzysztof Urbanski torna sul podioo dell’orchestra RAI. Con lui la pianista Marie-Ange Nguci

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino.Stagione Sinfonica 2023-24.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore 
Krzysztof Urbański
Pianoforte Marie-Ange Nguci
Guillaume Connesson (1970): The Shining One per pianoforte e orchestra (2009). Maurice Ravel: Concerto per pianoforte e orchestra per la mano sinistra. Dmitrij Šostakovič: Sinfonia n.5 in re minore op.47.
Torino, 1 marzo 2024
A distanza di quindici giorni, ritorna, sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI, il direttore quarantaduenne polacco Krzysztof Urbański che ripete nello schema dell’impaginato, nelle impostazioni esecutive e negli esiti quanto già sperimentato in precedenza. Cambia, rispetto al precedente concerto, il solista alla tastiera: Marie-Ange Nguci è la giovane franco-albanese impegnata nell’inedito, da noi, The Shining One del francese Guillaume Connesson e nel Concerto per la mano sinistra di Maurice Ravel. Il brano di Connesson si rifà a un qualche racconto esoterico che narra di un indistinto essere che illumina e richiede, nel contempo, l’estremo sacrificio ai suoi adepti. Il pianoforte concertante, con una buona dose di virtuosismo, vaga all’interno di una scrittura diatonica senza bruschi contrasti, fatta per piacere. L’orchestrazione è efficace e variata, Connesson ha in effetti una cattedra di orchestrazione nel conservatorio di Parigi, e Urbański vi si muove a suo agio con l’aiuto formidabile che sempre gli viene dalla superba collaborazione dell’ OSN RAI. Il pezzo, dieci minuti in tutto, si ascolta volentieri e non suscita sentimenti particolarmente coinvolgenti come lo stravagante argomento forse pretenderebbe nelle intenzioni dell’autore. La marcia finale verso un fanatico suicidio/sacrificio collettivo parrebbe più descrivere un’affannosa ressa ai cancelli delle Galeries Lafayette di Boulevard Haussmann, nelle prime ore dei saldi stagionali, che non un autosterminio di massa.
Ravel fa del suo Concerto per la mano sinistra un gran capolavoro che non ha nulla di meno del coevo, più noto e più eseguito, concerto in SOL. L’inizio è su un cupo pedale dei contrabbassi che viene ripreso, con vaghi spunti melodici, da un inusitato controfagotto solista. Orchestrazione complessivamente fantastica che conferma Ravel ai vertici di questa tecnica. Il concerto, scritto su commissione del pianista viennese Paul Wittgenstein, rientrato dal fronte, nel 1918, privo del braccio destro è evidentemente destinato all’arto superstite dando comunque al pianista un’ampia opportunità di far valere destrezza e sensibilità. Ad un orecchio non particolarmente avvertito sicuramente può sfuggire che il suono percepito sia frutto del lavoro di una sola mano, tanto il pezzo è ben costruito per garantire alla tastiera un’assoluta ricchezza di suoni. Ravel, per garantire al solista di non soccombere nel confronto con un’orchestra in forze, ha disegnato accompagnamenti alleggeriti e soprattutto gli ha riservato ampi spazi a brillanti cadenze solistiche. Wittgenstein, grazie alle grandi disponibilità di una doviziosa famiglia di imprenditori, volendo continuare, nonostante la menomazione, l’attività concertistica, aveva richiesto ai molti contemporanei compositori “di grido”, opere analoghe che comunque gli garantissero di non venire messo in ombra da un’orchestra troppo esuberante. Urbański ha tenuto a bada le intemperanze orchestrali e Nguci ha usufruito con brillantezza degli spazi accordati. Il successo non è mancato pur se sottolineato da un pubblico diradato, più del consueto, dalla pioggia scrosciante e dal conseguente traffico caotico. Il bis è rimasto in repertorio francese: Camille Saint-Saëns la Toccata d’après le 5° concerto (l’Égyptien), 6° degli studi per piano op.111. Già allo sguardo lo spartito rappresenta una meraviglia grafica, raggruppamenti di note che paiono le fantasie geometriche dei tappeti e delle piastrelle magrebine, Nguci poi ne ha fatto un vero trionfo di vivaci filigrane, la mano destra e gli estremi acuti dello Steinway hanno restituito quanto con Ravel era stato necessariamente penalizzato. I tre quarti d’ora della 5° sinfonia di Šostakovič hanno completato il programma della serata. L’orchestra trionfa e nessuno la può frenare, meno che mai Krzysztof Urbański che viceversa ne promuove gli eccessi. Fortissimo i forti, pianissimo i piani con bruschi e improvvisi scarti di intensità. Già con la 4° di Čaikovskij, del precedente concerto, avevamo assistito a questa cura assoluta della bellezza estetica dell’attimo fuggente a detrimento del quadro complessivo. Nelle intenzioni dell’autore, questa sinfonia avrebbe dovuto essere il ravvedimento riparativo dei peccati di “formalismo occidentale” perpetrati con la precedente sinfonia n.4. Urbański questi peccati li rinnova e li espone, come meglio non si potrebbe, dando forza ad un’estetica assolutamente contemporanea della bellezza e della comunicabilità immediata. L’Orchestra galvanizzata dagli stimoli del podio ha brillato in tutti i suoi comparti, dagli splendidi archi, ai meditativi legni ai trionfanti ottoni per poi lasciarsi incanalare da percussioni perentoriamente martellate. Una valanga sonora che avrebbe meritato un altrettanto sonora cascata di applausi da un parte di un pubblico più “massiccio”.